Nonostante l’UE ed i singoli Stati membri abbiano adottato un’intensa politica ambientale orientata ai principi di sostenibilità e di responsabilità verso le generazioni future, tuttavia, soprattutto per quel che riguarda il nostro Paese, all’appello continuano a mancare le aree marine protette e tra le poche istituite pochissime funzionano realmente.
Oltre alle lungaggini burocratiche ed amministrative, un motivo di tale ritardo è attribuibile alla scarsa “visibilità” dei danni ambientali marini, al fatto che il mare sia visto ancora come una sorta di forza invulnerabile.
In realtà, il nostro Mediterraneo è un bacino in gran parte chiuso sottoposto ad inquinamenti da terra e da mare, da fenomeni di crescente urbanizzazione, da una costante erosione costiera e dalla incipiente estinzione di specie ittiche.
Ogni anno finiscono nel Mediterraneo 600 mila tonnellate di petrolio, che in parte entrano nella catena alimentare.
Si tratta di un mare che rappresenta soltanto il 0,6% della superficie marina mondiale, ma che accumula il 25% del suo inquinamento.
Considerate le ristrette dimensioni e la forte antropizzazione delle coste, occorre che gli interventi di protezione siano inseriti in piani programmatici mirati ad una gestione integrata e razionale della fascia costiera.
Tale pianificazione, renderà necessaria una continua concertazione tra ministeri in ambito nazionale ed assessorati in sede locale.

- Un po’ di legislazione

  1. La legge 979/82 sulla “Difesa del mare” introduce per la prima volta nell’ordinamento italiano l’istituto dell’area marina protetta, definendo tali quelle zone costituite “ da ambienti marini dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l’importanza scientifica, ecologica,culturale, educativa ed economica che rivestono”.
    Il legislatore ha voluto inserire uno strumento giuridico volto alla conservazione e alla gestione di zone caratterizzate da particolare interesse naturalistico.
    Il vero oggetto di protezione, pertanto, è l’ambiente in sé, inteso sia intrinsecamente come ambiente naturale, sia da un punto di vista relazionale in riferimento all’uomo.
    La novità introdotta riguarda un modello di compatibilità ambientale non più vincolistico e basato su divieti, ma un concetto di compatibilità che si ricollega al principio internazionale di sostenibilità strettamente connesso alla valorizzazione del patrimonio culturale, naturalistico ed enogastronomico autoctono
    - Gestione AMP
    Per quanto riguarda lo svolgimento delle attività previste ed il raggiungimento delle finalità gestionali di ogni riserva, il Ministero opera attraverso l’Ispettorato Centrale per la Difesa del Mare; la legge prevede, inoltre, che la gestione possa essere concessa ad Enti Pubblici, istituzioni scientifiche ed associazioni riconosciute, attraverso la stipula di una convenzione pluriennale. Infine, presso le Capitanerie di Porto territorialmente competenti (sostituite dall’Ente gestore dell’Area protetta, con la legge 426/98), il Ministro costituisce una Commissione di Riserva che affianca l’Ente Gestore nelle attività istituzionali, definite e programmate nell’ambito del Regolamento di Gestione della Riserva Marina.
    - Commissione di riserva
    La Commissione è costituita da rappresentanti sia dell’Amministrazione centrale, sia di quelle locali, da rappresentanti delle associazioni ambientali e delle categorie economiche.
    Solamente a questo punto l’area protetta, benché esistente ufficialmente dal momento dell’istituzione, può iniziare la propria attività a tutti gli effetti, con il sostegno economico e finanziario dello Stato, previsto dalla legge; è per questo motivo che l’approvazione del Regolamento dovrebbe seguire rapidamente l’atto istitutivo.
    - Regolamento
    Purtroppo ciò non avviene praticamente mai e, per rimanere in ambito italiano, il Regolamento di alcune delle aree già istituite è stato approvato solo dopo alcuni anni e, in alcuni casi, non esiste una vera gestione a distanza anche di parecchio tempo dall’istituzione, ma solamente una serie di vincoli e di divieti sulla carta.
    Le cause di queste difficoltà e di questi ritardi possono essere molteplici e di non facile schematizzazione. Tra di esse bisogna includere, da un lato, la novità del problema per il nostro Paese e, quindi, una ridotta sensibilizzazione pubblica soprattutto a livello locale, nonché una scarsa tradizione ed esperienza a livello progettuale, dall’altro un’eccessiva burocratizzazione delle istituzioni preposte, che contribuisce ad allungare i tempi in maniera anomala, anche per atti semplici e teoricamente di rapida esecuzione.
    - Problematiche
    Le problematiche emerse nell’accettazione delle A.M.P. sono determinate non soltanto da difficoltà organizzative del Ministero stesso, ma anche dal fatto che la collettività si è trovata d’un tratto a dover accettare una nuova cultura di ambiente, basata su una responsabilità verso le generazioni future, alla luce del fatto che anche le risorse naturali sono esauribili.
    Anche i soggetti economici, ad esempio, dovranno puntare su una nuova strategia: non più sulla speculazione del breve periodo, ma sulla qualità ambientale: ricreare un ambiente a misura d’uomo.
    Se da un lato la comunità locale dovrà misurarsi con una nuova cultura di sostenibilità, dall’altro le istituzioni (attese le Raccomandazioni del Congresso mondiale di Durban del 2004 sulle aree protette) dovranno “convincere” le comunità coinvolgendole direttamente nei progetti.
  2. La legge quadro 394/91 sui parchi introduce pochi articoli sulle aree marine protette (18, 19, 20) e l’art. 19 elenca le attività che devono essere vietate
    A questa dichiarazione segue un elenco specifico di attività e, il 4° co. dell’art. 19, estende alle zone terrestri incluse nelle aree protette marine i divieti stabiliti per i parchi nazionali dal 3° co. dell’art. 11. Si tratta di divieti che riguardano attività e opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambiente naturali, con particolare riguardo alla flora, alla fauna e ai rispettivi habitat.
    Nell’art. 19 si legge, tra l’altro, che “Con apposita convenzione da stipularsi da parte del Ministro dell’Ambiente, la gestione dell’area protetta marina può essere concessa ad Enti Pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni riconosciute” ed ancora che “Qualora un’area marina protetta sia istituita in acque confinanti con un’area protetta terrestre, la gestione è attribuita al soggetto competente per quest’ultima”.
    Ai fini dell’istituzione di parchi e riserve marine rilevante è l’indicazione di nuove aree marine di reperimento. L’art. 36 della legge quadro elenca ventisei nuove aree che si aggiungono a quelle già individuate nella legge n. 979/82, tra cui anche l’area marina del Conero.
    L’approvazione della legge 394/91 introduce, comunque, alcuni importanti cambiamenti nella disciplina delle riserve marine.
    Le riserve marine entrano a far parte a pieno titolo del sistema integrato nazionale delle aree protette. In tal modo si segna, definitivamente, il “passaggio da una valutazione comparativa di tutti gli interessi presenti nelle riserve al perseguimento dell’esclusivo interesse ambientale”.